Chiesa di San Giuseppe
Il 17 giugno 1603, in una stalla a ridosso delle mura del paese, dove Franceschina Panaca si era rifugiata per sottrarsi alle persecuzioni dei creditori del marito Felice Desa, nacque Giuseppe Maria. La struttura, le cui pareti verticali erano realizzati da conci informi, aveva il tetto a capanna coperto con canne e tegole e al suo interno conteneva un camino, oltre a due vani di accesso. In un angolo, a sinistra entrando dal vano principale, Franceschina partorì Giuseppe Maria, ultimo di sei figli. Prima di lui, infatti, avevano visto la luce Brigida, nata nel 1587 e morta infante. Nel 1591 nacque Pietro che morì anch’egli in tenerissima età. Il 16 giugno 1596 fu battezzata Margherita ed anche questa morì giovanissima. Nel 1598 nacque il quartogenito che fu chiamato Pietro, ma che morì in gioventù. Nel 1601 vide la luce Livia che si sposò e sopravvisse ai genitori. Infine nacque Giuseppe che fu battezzato da don Delfino Fulino nella chiesa Matrice.La sua fu un’infanzia segnata dagli stenti e dalla malattia. Giovanissimo, infatti, il suo corpò subì l’invasione di piaghe purulenti e della scabbia.
Più volte quel corpo fu portato tra le braccia di mamma Franceschina nella chiesa del convento di S. Francesco sperando in un miracolo. Ed effettivamente la sua guarigione avvenne grazie all’intervento di un monaco cappuccino di Galatone. Ripresosi dalla convalescenza, i genitori cominciarono ad occuparsi della sua educazione e lo affidarono allo zio francescano, padre Franceschino Desa, il quale lo tenne con sé come fratello laico all’epoca in cui si costruiva il convento della Grottella.
Ma Giuseppe, che palesava essere un mezzo incitrullito, fu rimandato a casa. I coetanei, quelli più aspri e pungenti, non mancarono di affibiargli il soprannome di “Pippi boccaperta” per averlo sopreso più volte con la bocca semichiusa e le braccia aperte in forma di croce dinanzi alle immagini sacre della chiesa di San Francesco. In realtà, questo era il preludio delle sue mistiche ascensioni.
Più tardi si rivolse ai Riformati di Casole, ma nemmeno questi vollero saperne della sua vocazione. Non rimanevano che i Cappuccini dove fu accettato in qualità di fratello laico. Stette prima a Copertino e poi a Martina Franca, dove fu mandato per l’anno di noviziato. Qui vestì il saio e lo chiamarono fra Stefano. Era il 1620. Un giorno, però, il maestro di noviziato lo chiamò per dirli di tornare al mondo perchè non era vocato per quell’Ordine in quanto cagionevole di salute, sempre distratto al punto da apparire un pò demente. Amareggiato, deluso, scalzo e seminudo partì da Martina Franca per raggiungere la sua Copertino.
Raggiunta la casa paterna subì i rimproveri dei genitori e, in seguito a questi, scappò per rifuagiarsi nuovamente nella chiesa della Grottella. Dinanzi all’immagine della Vergine pianse amaramente e pregò a lungo invocando l’aiuto della Madonna. Grazie all’amore di qualche frate, gli fu trovato un giaciglio in un sottoscala dove, nascostamente, alcuni frati gli portavano da mangiare. Di notte usciva per recarsi dinanzi all’immagine della Vergine per piangere e flagellarsi.
Spiato continuamente e visto in estasi dinanzi all’immagine sacra, finalmente, dopo sei mesi di “latitanza”, fu accettato come fratello oblato e indossò l’abito francescano. Era felice. La Vergine aveva esaudito le sue preghiere. Il 1625 Giuseppe fu acettato come chierico e affiliato al convento della Grottella sotto la responsabilità dello zio, padre Donato Caputo. Alla Grottella fece il suo anno di noviziato e nel 1627 emise la professione religiosa. Il 30 gennaio di quell’anno mons. Girolamo De Franchis, vescovo di Nardò, gli conferì la tonsura e gli Ordini Minori. Il 27 febbraio, senza esami, fu ordinato suddiacono. Il 20 marzo passò al diaconato dopo aver tenuto un esame che sbalordì tutti. Per un anno si preparò all’ordinazione sacerdotale che di fa fatto avvenne nella parrocchiale di Poggiardo per mano del vescovo di Castro, mons. Giovanni Deti. Era il 18 marzo 1628.
La sua povertà, ma soprattutto la fama dell’indiscutibile carica umanitaria, la sua eccezionale fede religiosa e i suoi prodigi superarono i confini cittadini e quelli provinciali. La sua prima levitazione è documentata il 4 ottobre 1630 al rientro in chiesa della processione di San Francesco. Giuseppe, infatti, si sollevò da terra fino all’altezza del pulpito, immobile sotto gli occhi di una folla in delirio. Da allora la sua vita cambiò. Le estasi divennero sempre più frequenti. Bastava un ragionamento su Maria o su Gesù perchè restasse inerte o cadesse a terra come un cadavere. Anche gli episodi di sollevamento da terra durante la celebrazione della messa divennero frequenti.
Il santuario della Madonna della Grottella, quindi, divenne ben preso un porto di mare soprattutto nei giorni festivi. Chi esclamava, chi piangeva, chi chiedeva misericordia all’Onnipotente. Tutti circondavano l’altare, toccavano il “santo”, lo osservavano da ogni lato, facevano esperimenti delle sue sensibilità con spilli e con candele accese, finchè non interveniva il padre guardiano a riportare la calma.
San Francesco era divenuto il punto fermo della vita di fra Giuseppe. Nel 1631, chiesto ed ottenuto un pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi non potè compierlo a causa delle strade chiuse al transito per il diffondersi della peste.
A Giuseppe obbedivano non solo gli uomini, ma anche gli animali. Cominciò a profondere miracoli i quali si pubblicano per la prima volta da Domenico Andrea Rossi nel 1767. Il Ministro Generale dei Minori Conventuali, infatti, in quell’anno, per i torchi di Giovanni Zampei, dette alle stampe il “Compendio della vita, virtù e miracoli di S. Giuseppe di Copertino”. Ma la diffusione dei suoi miracoli non tardò a richiamare l’attenzione del Sant’Offizio di Napoli. Le accuse partirono da Giovinazzo dove il Nostro, al termine di una levitazione fu accusato di truffa. Sicchè il 26 maggio 1636 partì l’accusa formale. Secondo la procedura il fascicolo fu inviato a Roma dove la commissione cardinalizia del tribunale inquisitoriale discusse il caso.
Nel 1638 a Napoli iniziò il suo calvario. In attesa di nuove prove di santità fu deciso di tenerlo segregato e fu mandato esule e triste ad Assisi. Era il 1643 e i suoi miracoli si susseguivano anche in Assisi dove gli fu consegnata la cittadinanza onoraria. Era il 4 agosto del ’43. Ad Assisi padre Giuseppe visse quattordici anni e rivelò anche in quella città le sue doti profetiche tra cui la morte di Urbano VIII anticipata tre giorni prima. Ultimo carisma fu quello della scienza. Semplice di lingua, zoppicante in calligrafia, trepido nella lettura, ma quando parlava di Dio “aveva tanta fecondia nei discorsi teologici che pareva dotto e intelligente”.
Una scienza infusagli da Dio, sostenne padre Roberto Nuti. Le sue messe continuavano ad essere stracolme di fedeli in attesa dei suoi prodigi. Sicchè, dinanzi a tale fenomeno non potè restare immobile la Santa Inquisizione. Era il 1653, infatti, quando il domenicano Vincenzo Pellegrini ne dispose il trasferimento a Pietrarubbia , presso l’eremo di S, Lorenzo. Giuseppe fu consegnato al padre guardiano con l’ordine di non farlo uscire dalla cella. Ma della sua presenza si accorsero anche gli abitanti di quelle contrade che, pur di vederlo continuarono ad assieparsi tra le mura della chiesa. Sicchè fu ancora una volta trasferito tra i Cappuccini di Fossombrone. Anche qui padre Toedoro da Cingoli ebbe severe disposizioni circa la sorveglianza di padre Giuseppe.
Nel 1657 Giuseppe fu tra i Conventuali di Osimo dove visse fino al 1663 per essersi ammalato. Pazientemente si sottopose alle scelte del cerusico. Il suo stomaco rifiutò ogni forma di cibo. La febbre lo divorò. L’8 settembre gli fu somministrata la comunione sotto forma di viatico. Verso sera implorò l’estrema unzione. La sera del 18 il suo volto cominciò a risplenedere. Un quarto d’ora prima di mezzanotte chiuse la vita terrena con un lungo ineffabile sorriso.
La cerimonia di sepoltura avvenne la mattina del 20. La cassa fu calata in un loculo sotto la cappella dell’Immacolata, a sinistra dell’altare maggiore. Da quel momento il pellegrinaggio alla tomba di fra Giuseppe da Copertino non avrà più termine. L’anno dopo furono aperti i processi ordinari nelle diocesi dove aveva a lungo dimorato. Nel 1688 ebbero inizio i processi apostolici che aaranno letti ed approvati nel 1690. Dopo ampie discussioni, che durarono fino al 1735, Giuseppe fu dichiarato “Venerabile”. Fu proclamato beato il 24 febbraio 1753 e, il 16 luglio 1767, anniversario della canonizzazione di San Francesco d’Assisi, Clemente XIII lo proclamò Santo. Nel 1754, un anno dopo la sua beatificazione, l’Universitas di Copertino come atto di devoto omaggio al suo concittadino più illustre decise di costruirvi l’attuale santuario inglobandovi la stalletta. Per l’occasione furono abbattute un tratto di mura, la chiesa di San Salvatore e la misera dimora di donna detta “la Carlangiana”.
Nel 1758 l’architetto copertinese Adriano Preite consegnò la fabbrica ai fedeli. Nella concava facciata di questa chiesa il Preite dimostra di aver assorbito la grande lezione neretina del Sanfelice del quale trasmette alla seconda metà del XVIII secolo gli stilemi e gli impianti tipologici. Altra interessante opera di quell’anno fu la trasformazione della porta del Castello in un arco di trionfo in onore del Santo. Superfluo sottolineare le manifestazioni di giubilo a Copertino e nel Salento in occasione della diverse fasi che precedettero la santificazione. San Giuseppe da Copertino fu proclamato protettore degli studenti e degli esaminandi. Fu proclamato, inoltre, protettore dell’Aeronautica Militare.