La cucina salentina
Nessuno si azzardi a credere di essere un artista della gastronomia
se prima non ha ben chiarito il sottile problema dei sapori. (Orazio)
La cucina salentina è povera e risparmiosa, una cucina saporita dai mille sapori, dai mille odori, dai mille nomi, dai poveri ingredienti. Una cucina in cui tutto si utilizza e nulla si spreca.
Le erbe spontanee vengono raccolte nei campi incolti e cucinate secondo calendario nelle “pignate” di coccio al fuoco del “lu focalire”. Le verdure coltivate nel Salento hanno un sapore unico al mondo, si mangiano spesso crude a “subbrataula” accompagnate da pecorino fresco, formaggio ricotta, ricotta marzotica.
I piatti di carne tradizionali sono pochi, per risparmiare si usano anche i ritagli. Le polpette della nonna, venivano impastate con poca carne macinata, molto pane, molto formaggio pecorino e uova.
Svariate le preparazione dei pesci azzurri “a scapece”, “rracanati”, sempre con molto pane; le cozze nere che accompagnano e condiscono saporiti piatti di pasta.
Nelle ricette antiche pochi i pesci di prima qualità ad eccezione delle triglie con i baffi di Porto Cesareo, cotti spesso allo “sguero de inchi” (alla brace di rami di olivo).
Pochi i dolci, ma squisiti, spesso preparati con ricette di monache di clausura.
Tradizionali i “purciddhuzzi cullu mele”, le “carteddhate” e i dolci col vino cotto “de scammaru” preparati nelle vigilie.
C’è ancora molta gente che va alla ricerca di questi vecchi sapori delle ricette della nonna, che sembrano ormai dimenticate nel comò, ma che da un po’ di tempo a questa parte sono, a giusta ragione, esibite come fatto di cultura, come argomento di storia, come segno di civiltà, di quella civiltà contadina che a tutti costi abbiamo voluto scrollarci di dosso.
Non sono lontani i tempi in cui la cucina era fatta essenzialmente di cose semplici e i sapori, così come i profumi, erano soltanto il risultato della fantasia delle umili ed accorte massaie che spesso riuscivano a realizzare ghiottonerie riciclando anche cibi avanzati il giorno prima, magari con la sola aggiunta di una “croce di olio”.